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Gli archivi del Piccolo Teatro


Il giardino dei ciliegi - 1974-75

autore: Anton Pavlovic Cechov
traduzione: Luigi Lunari, Giorgio Strehler
regia: Giorgio Strehler
scene: Luciano Damiani
costumi: Luciano Damiani
musiche: Fiorenzo Carpi
    


Lettera a Valentina Cortese

Lettera a Valentina Cortese protagonista del Giardino dei ciliegi sulle prove e sul personaggio di Liuba da lei interpretato

Valentina adorata!
Ed eccoci arrivati alla fine del Giardino. Il nostro lavoro finisce qui. Tristemente come finiscono tutti i lavori di teatro ma forse più questa volta. C’è un male dentro di me così profondo, così scuro da non riuscire a definirlo. E in te, certo, c’è anche di più.
L’unica cosa che può salvare da questo è la certezza che il teatro va avanti e noi con lui. Credimi: non c’è altro, solo il pensare che anche questo Giardino è solo un momento di una storia di palcoscenico che ha avuto altre storie prima e avrà altre storie dopo. Tu invece, assegni altri valori, lo vuoi far diventare “la fine di tutto” e questo, la fine di ogni nostro futuro, la fine di ogni altro lavoro di teatro, insieme, tu e io. Ma così non è, Valentina. Vorrei, non so in quale modo, potertene dare la certezza anche se penso che deve bastare ciò che continuo a dirti da sempre. Le mie promesse “nel teatro” valgono, non le ho mai smentite e tu dovresti saperlo, per prima.
Sul resto non si può nemmeno incominciare a parlare perché tutto è così crudele, così confuso, così fondamentalmente ingiusto da lasciarmi sbalordito... Meglio il silenzio, un silenzio grave in cui io non mi ritrovo quasi. Non è ancora venuto il momento, credo, per poter parlare e capire fino in fondo. Ma qualcosa sì, debbo scriverti, perché lo penso, perché lo sento: non credere che io non sappia “cosa” ti è costato questo Giardino.
La maggior parte di questo sapore amaro che ho sulle labbra nasce dal sentimento preciso di averti fatto del male non volendolo. Io ho fatto il Giardino non per me ma per te, perché ero convinto che questo spettacolo, pur nelle condizioni terribili in cui è nato, pur nella lacerazione inevitabile sarebbe stato come la sublimazione di un nostro dolore, mio come tuo o più tuo che mio, sarebbe stato una specie di lancinante raggio di luce nel tuo male, sarebbe stata la possibilità di darti la parte migliore di me, a te e a te sola come a nessuno! Mi sono accorto invece, da subito, che così non poteva essere: il prezzo ti era troppo alto. Ho continuato a provare cercando di dare, dare, dare al tuo personaggio un amore una tenerezza, una pienezza di sentimenti che forse non ha o non merita. Ho costruito, assai prima di uno spettacolo, assai prima di un testo, una figura umana che in parte ti corrisponde, in parte ci corrisponde, in parte no, perché è più grande probabilmente di noi, una figura umana che tu, alle prime prove, hai violentemente rappresentato con una umanità, una coerenza di sentimenti, una pienezza di arte da sbalordire. E qui, ho di nuovo creduto di avere scelto giusto. Liuba era qualcosa che dovevi fare e fare adesso, subito. Si doveva mettere tra noi, per legarci, questa misura di poesia inalterabile, decantata, pura e poi... Ci sono state ore in cui ti ho seguita e amata con un tale abbandono, con una tale ammirazione quale mai ho provato nella mia vita. Ed ecco che qualcosa improvvisamente si è spezzato in te e tra noi, al massimo della parabola ascendente, mentre tu stavi per fare forse la cosa più bella e compiuta che io ho visto a teatro, ecco che ti sei fermata e hai cominciato a scendere. Non ti ho ritrovata più intera. Ti ho ritrovata qua e là in certi toni, in certi momenti. Non in una continuità incredibile, in una violenza di amore e poesia fatta di dolore, di infanzia, di incredulità, di abbandono, di incoerenza anche. Quello che resta è tanto Valentina, credimi, è qualcosa di prezioso, di grande. Ma non grande come era, non grande come puoi essere, non grande come io ero riuscito a costruirti. Questo il mio sordo rimpianto, questo il mio rimprovero. E mi domando cosa c’è stato, dopo quelle lacerazioni positive, che ci ha nuovamente divisi. Sì, divisi perché in quei momenti eravamo insieme, come forse non lo siamo stati mai, per lo meno in questi ultimi anni. Qualcosa che mi è sfuggito. Qualcosa di cui sono responsabile io. Ma solo io, Valentina? Solo mia è la colpa? Vedi, se non fosse successo il miracolo di tanti giorni e ore io oggi non starei qui a ferirmi nella memoria e nella ricerca di un perché... Ma quel miracolo era successo. Cosa l’ha fatto diventare un’altra cosa?
Liuba era e può essere, se tu questa sera spezzi di nuovo il tuo involucro di lacrime e di pena privata per proiettarla nella tua arte, una straordinaria creazione d’amore di due esseri che saranno sempre una cosa ineguagliabile l’uno per l’altro, fino alla fine. Liuba è il nostro bene di ieri e di oggi, Liuba è la prova viva di ciò che vali umanamente e di ciò che ci possiamo dare sempre. Credimi, amore mio caro, unico è così. Ma occorre che succeda qualcosa, qualcosa che non so indicarti perché non lo conosco, non riesco a finirlo...Allora Liuba Andreievna ritornerà a essere una grande figura d’amore ricca di altro amore, il nostro, oltre quello di cui l’ha riempita l’autore, ritornerà a essere qualche altra cosa dal teatro: brandello di vita e di anima, fuoco incandescente e perenne, suono incontrollabile nella sua vibrazione... Non solo teatro, no, Valentina, assai di più o meno, non so. Altra cosa. Quella che mi aveva, ci aveva travolti per settimane.
Si tratta di un problema d’arte ma prima ancora di un problema umano.
L’altra sera io sono fuggito per tanti motivi, anche per questo. Ma non perché non recitavi bene, non perché non sei giusta. Cerca di capire: qui si tratta di altro. Come attrice la tua Liuba è bellissima, non ci sono dubbi, devi esserne sicura. Come essere umano che può tanto, Liuba è al di sotto del tuo amore. Ma non lo fu per molto tempo, magari con squilibri e pause. Questo il punto fondamentale. Come riuscire a comunicarti quello che provo e sento: l’ammirazione che ho per te e l’accusa che ti faccio sordamente di non essere ancora di più perché puoi essere mille volte di più? Ma ora, Valentina, è il momento di non abbandonarsi troppo a tutto ciò. È l’ora di fare quello che si può per realizzare te stessa.
Era questo però che volevo dirti ai margini del nostro Giardino? Certo no. Forse ecco: non mi perdonerò mai di averti fatto soffrire tanto. Oggi sono quasi sicuro che non dovevo fare questo Giardino. Né per me né per te. Sono sicuro che tu avevi ragione. Che non bisognava sottoporti a questo dolore quotidiano, quotidianamente rinnovato, in quel palcoscenico, tra quei muri, in quel “luogo”... Avevi ragione e io sono stato involontariamente mostruoso e crudele. Ma non volevo. Mi giustifico così. Non avevo nessun bisogno di fare il Giardino, io!
Avrei dovuto non farlo per salvare la mia salute ormai tanto compromessa. E facendolo ho distrutto ancora altro di te. Posso dunque darmi pace e ragione? Anche questo sta al fondo del mio lavoro, in queste ore in cui aspetto ormai impotente che si realizzi una parte solo e piccola di ciò che volevo e sapevo. Ti prego solo di perdonarmi perché ciò che è avvenuto è avvenuto in purità di cuore e non per incoscienza. Per errore, niente altro.
Solo ciò che ti ho detto, quel miracolo poteva assolvermi e dare un senso a questo enorme tuo male al quale fa riscontro un altro mio enorme male. Così chiudo queste mie righe disperate, più disperate di quello che paiono. Sono qui, ormai senza forze, né parole, stanco stanco stanco...
ti bacio teneramente il tuo
Giorgio
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